domenica 28 ottobre 2012

Scheda Effie Klein


Nome Fey Lilith
Cognome Klein
Soprannome Effie
Data di nascita 8 agosto 19**

Il potere di Effie è quello di riuscire a controllare i quattro elementi: terra, fuoco, aria, acqua.
A sei anni scoprì casualmente di controllare l’acqua.
Lo stesso anno il fuoco.
A dodici anni lanciò un sasso senza toccarlo contro la vicina di casa.
A Diciotto anni con il controllo dell’acqua, riuscì a sopravvivere fuori casa.

sabato 13 ottobre 2012

PRIMO CAPITOLO











L’essere umano era così ingenuo. Credeva di essere forte e invincibile con le sue armi, i suoi missili, il suo controllo sulla Terra. Cercavano nello spazio forme viventi che potessero sovrastare e distruggere. Ma non sapevano che proprio sul loro amatissimo pianeta c’erano coloro che presto avrebbero chiamato alieni o, meglio, mutanti.
C’eravamo da sempre, da milioni di anni, nati esattamente quand’è nato l’uomo, siamo vissuti parallelamente ad essi, nascondendoci, sapendo che le nostre capacità li avrebbero terrorizzati, e ci avrebbero perseguitato.
Spesso, stanchi di nascondersi, si sono mostrati al mondo, mostrando le loro capacità per fare il bene, non di certo per il male, e sono stati perseguitati, annientati, uccisi con truci torture. Ne è un esempio la famosa caccia alle streghe, a quelle povere donne che volevano solo aiutare i sofferenti.
Col tempo, noi mutanti, abbiamo capito che l’anonimato fosse il miglior modo per sopravvivere, così abbiamo cominciato a nasconderci, a vivere come tutte le persone, a evitarci fra di noi e a lasciare che l’uomo facesse il suo percorso senza la nostra presenza. Ogni giorno, mentre l’uomo acquistava sempre più il controllo sul pianeta e sugli altri, essere mutanti e nascondersi risultava sempre più difficile.
Fino a quando, un bel giorno, qualcuno di noi non si fece avanti e si rivelò. Tanti altri, nelle più svariate zone della Terra, presero coraggio e si mostrarono. Subito l’uomo accolse la notizia con curiosità, tutti ne parlavano, nacquero anche dei stupidi gadget, e i bambini durante halloween si travestivano da mutanti con i loro poteri. Ma poi, quando i potenti si sentirono in pericolo, quando ebbero la sensazione di sentirsi inferiori a qualcuno, cominciarono a disprezzarli, a chiamarli con epiteti completamente dispregiativi, a chiamarli pericoli per l’incolumità umana.
Quelli che riuscirono a catturare vennero o uccisi o rinchiusi all’interno di laboratori dove erano sottoposti ad esperimenti continui. Gli altri tornarono a nascondersi, cercando di essere normali.
Nacquero delle Leghe Anti-Mutante, sempre più forti nei piccoli paesi, dove ogni notte facevano la ronda e bruciavano i mutanti denunciati da vicini di casa o dagli stessi familiari. I laboratori scientifici vennero chiamati Campi di Indirizzamento, dicendo che avrebbero aiutato qualsiasi mutante a tornare umano.
Nessuno di noi non poteva più fidarsi delle persone più care e più vicine che aveva, e lo si vedeva dal terrore degli occhi dei mutanti che la paura riusciva a sovrastare ogni pensiero.
Allo stesso tempo anche i mutanti si organizzarono, quei pochi coraggiosi si nascondevano in strutture apposite, lontane da occhi indiscreti e vivevano come potevano, alcuni si fingevano barboni, altri si celavano dietro importanti cariche politiche o sociali, in modo da far sparire qualsiasi dubbio.
Il mondo era diventato una continua caccia ai mutanti.
Il problema era che alcuni di essi erano pronti a rispondere a questa caccia con la caccia agli uomini. Aiutando a incrementare l’odio degli umani verso di noi.
L’essere speciale non risultava più essere così bello, ma piuttosto una condanna a morte.
Avevamo paura.
Io avevo paura.
Avevo scoperto di essere una mutante a sei anni, mentre giocavo in giardino con mia madre, improvvisamente una goccia d’acqua si formò sulle mie mani. Poi, l’inverno successivo, fissando una fiamma riuscii a riprodurla sempre dalle mani. All’età di dodici anni riuscii a far crescere una pianticella di fronte agli occhi increduli di mia madre. Con gli anni mi tenne protetta, essendo anche lei una mutante, e spesso l’avevo sentita piangere e pregare chiedendo il perché anche a me fosse successo. Col tempo però me ne aveva parlato come un miracolo, e che ne dovevo essere felice, anche se stavamo attraversando un periodo difficile, anche se essere diversa mi avrebbe portato alla morte.
Mio padre, Scott Hammer, era famoso per le sue forti opposizioni contro i mutanti, partecipava ogni notte alla ronda e tornava a casa a vantarsi di quanti ne aveva uccisi o fatti incarcerare. Lui che tanto odiava i mutanti e si vantava di riuscire a stanarli, non si accorgeva che sua moglie e sua figlia erano esattamente quello che lui detestava di più.
<<I Klimm>>, disse bevendo un bicchiere di vino e pulendosi la bocca con la manica, <<Tutti erano dei mutanti, tutti i Klimm>>, rise toccandosi i baffi neri come la notte, <<Odell li ha presi, e hanno implorato che lasciassero stare i bambini>>.
Mia madre era sbiancata. La signora Klimm era sempre stata una sua amica, e io conoscevo Mode Klimm, una ragazza che veniva a scuola con me, era sempre stata così gentile che immaginarmela morta fra qualche giorno mi faceva sentire in colpa.
<<Dammene ancora, Jade>>, disse a mia madre indicandogli la carne. <<Domani>>, aggiunse rivolgendosi a me e indicandomi con la forchetta, <<Domani andiamo a vedere il Rogo>>.
<<Non mi va>>, dissi in un sussurro.
I suoi occhi si infiammarono. <<Non dirmi che sei dalla loro parte!>>.
<<Non ho detto questo. Solo che non mi piace>>.
<<Cos’è che non ti piace? Vorresti che ci fossimo noi lì?>>.
<<Non mettermi in bocca parole che non ho detto, papà>>.
Divenne rosso, <<Tu li devi odiare. Sei mia figlia. Sei un Hammer. Vero Jade?>>.
Mia madre si sedette e lo guardò con gli occhi lucidi, <<L’altra volta che è venuta è stata male, Scott>>.
Lui neanche l’ascoltò. <<Domani a mezzogiorno>>, disse continuando ad indicarmi, <<Verrà anche il figlio di Odell, ehm…>>.
<<Blade, papà>>, dissi in un sussurro.
<<…Blade, si, è diventato un bel ragazzo, grande e deciso sai. Tu vai d’accordo con la moglie di Odell, vero Jade?>>.
Lei represse una smorfia: la famiglia di Odell Grayne non era esattamente il sinonimo di simpatia, soprattutto l’altezzosa moglie di Odell, Rita Grayne. <<Certo>>, disse mia madre senza nascondere il suo dissenso.
<<Ha due figli, ma Blade è il migliore. L’altro, quello piccoletto…>>.
<<Nathan, papà>>, suggerii.
<<…Nathan, si, ecco lui è così… insignificante. Odell mi ha detto che detesta i Roghi. Si vergogna del figlio. D’altronde anch’io lo farei!>>. Si voltò verso di me, <<Come fai a conoscerli?>>.
<<Nathan è in classe con me nel corso di storia, mentre Blade, beh, è famoso a scuola>>, risposi velocemente.
Lui annuì, <<Quasi quasi li invito a mangiare qua, dopo il Rogo. Tu concentrati di Blade, è proprio un bravo ragazzo, sai>>.
Continuò così per tutta sera a parlarci dei Grayne e di quanto questo Blade fosse meraviglioso.
Io detestavo Blade come detestavo mio padre. E io odiavo mio padre e le sue persecuzioni ai poveri e innocenti mutanti. E mamma detestava Rita Grayne quanto detestava suo marito, che odiava chi era come lei. Eppure vivere nel lusso che ci aveva portato il lavoro di mio padre, era più importante che far rimanere integro il suo orgoglio da mutante. Non le avevo mai chiesto come facesse a vivere in quello stato, ma credevo che fosse unicamente per me, per non rischiare che io venissi perseguitata tanto quanto lei.

Il giorno dopo mio padre mi svegliò gentilmente solo per ricordarmi che dovevo prepararmi per il Rogo. Indossai un paio di jeans scuri e una maglia bianca, avvolgendomi poi nel pesante giaccone. Mentre mia madre era impegnata con tutte le sue energie nel preparare il pranzo, io e lui andavamo a piedi verso il centro del piccolo paese dove abitavamo e dove la folla cominciava a formarsi. La piazza era circolare ed esattamente nel mezzo stava la piattaforma di metallo dove tre corpi penzolavano senza vita ancora dalla settimana prima.
Il primo, quello più grande e vecchio era del signor Shonda, un dolce uomo dalla lunga barba bianca che vendeva i tabacchi, poi c’era quello dell’anziana moglie che tutte le mattine andava al cimitero per mettere i fiori sulla bara della figlia e del suo sposo. E infine, quello più raccapricciante e triste e perfetto simbolo della crudeltà che generava l’odio verso i mutanti, era il piccolo corpo del nipote dei due signori Shonda, aveva solo sette anni ed era stato ucciso perché poteva essere come loro, così aveva detto mio padre.
I Giustizieri – così si facevano chiamare i volontari del paese che annodavano le braccia e le gambe dei compaesani ritenuti mutanti e con un sorriso li torturavano – conosciuti più semplicemente con il nome di boia, stavano togliendo i corpi dei tre Shonda abbrustoliti. Mio padre non aveva voluto fare il boia perché diceva che per gustarsi la scena davvero il posto migliore era in mezzo al pubblico.
Mio padre mi richiamò all’ordine e mi fece segno di seguirlo in mezzo alla folla che si apriva al suo passaggio. Lui e Odell Grayne erano considerati i salvatori del paese. Tutti lo salutavano e si complimentavano con lui per averne scovati così tanti e soprattutto famiglie intere.
Trovammo i Grayne sotto la piattaforma, e Odell disse a mio padre: <<Oggi i boia sono stati crudeli, hanno scelto la marchiatura>>. La marchiatura, scoprì poco dopo vedendo la scena, consisteva nel scaldare fino a far diventare incandescenti delle lestre di metallo e appoggiarle ai corpi dei mutanti che erano legati a delle aste metalliche per i polsi e per i piedi.
Scott Hammer sorrise, <<Ti presento mia figlia Effie, Odell>>. Lui in risposta mi squadrò con i suoi occhi maniacali e mi baciò la mano come era ritornato in uso fare.
<<È un piacere conoscere tale bellezza. Effie, se mi dai il permesso, ti presento mio figlio Blade, ma penso che tu già lo conosca>>, disse con la sua voce possente e sicura di sé.
Blade Grayne si presentò davanti a me con le sue spalle larghe e in tutta la sua altezza. Non era molto diverso dal padre, avevano gli stessi occhi scuri, le mani callose e rovinate e lo stesso sorriso morboso.
Gli sorrisi appena, tesa per quello che stava per accadere.
<<Oh, c’è la sindachessa>>, disse Odell guardando verso la gente che si apriva al passaggio del sindaco Ivory Grey, accompagnata dalla figlia Alyssa. Era una donna alta, con le spalle larghe e sempre vestita di nero, e ovviamente era completamente d’accordo con le idee anti-mutante che sostenevano mio padre e Odell. Alyssa, invece, per quanto le assomigliasse nei capelli castani e gli occhi della stessa tonalità, era decisamente più docile e meno spaventosa.
<<Ehi, Eff!>>, disse Alyssa con un sorriso che l’abbandonava raramente, stringendomi il braccio. <<Mi ha tirata giù dal letto>>, aggiunse indicando con uno sguardo la madre che tanto non sopportava. Lei e la sindachessa erano molto simili a me e a mio padre, solo che Alyssa aveva molto più coraggio nel far valere le proprie opinioni su quanto i mutanti fossero innocui.
I suoi occhi caddero su Blade Grayne che le sorrise ammiccante. <<Adesso fa tanto il carino, ma l’anno scorso quando mia madre non era sindachessa mi chiamava rospo. Non lo sopporto>>, sussurrò in modo che potessi sentire solo io.
Improvvisamente il silenzio cadde totalmente sul pubblico.
I Klimm salirono scortati dalla polizia sulla piattaforma, e alla visione del signor Klimm con la testa bassa, e della moglie e della figlia in lacrime che urlavano pietà, il mio cuore si distrusse in tanti piccoli pezzi. Come potevano fare simili barberie ai loro compaesani. Soprattutto a Mode, quella piccoletta tutta capelli, lei che non aveva mai fatto nulla di male. Ci potrei essere stata io sulla piattaforma a piangere e a chiedere pietà quando non l’avrei mai ricevuta.
Le persone li fischiarono e insultarono mentre venivano legati ai pali, eppure i miei occhi erano legati a quelli di Mode che fissava quelli che erano stati i suoi amici negli occhi, uno a uno, e per un istante i nostri sguardi si incrociarono e muovendo solo le labbra mi disse di essere forte.
Io dovevo essere forte quando lei stava per essere torturata?
Nel frattempo la sindachessa era salita sulla piattaforma e come ogni volta li aveva presentati, chiedendogli poi come da rituale, <<Avete qualcosa da dire prima di essere giustiziati?>>.
Il signor Klimm aveva abbassato la testa e sua moglie piangeva con tutte le sue forze. Mode, invece come tutti notarono, continuava a guardare me, con un insistenza tale che mi fece tremare. Se non avesse smesso presto a qualcuno sarebbe nato il pensiero che fossi come lei.
Mio padre mi prese un braccio e mi sussurrò: <<Perché ti sta guardando, Effie?>>.
<<Eravamo amiche>>, risposi sentendomi colpevole di mentire così spudoratamente. Perché la verità era che Mode sapeva cos’ero, perché fra mutanti si capiva, era chiaro, e mi stava implorando di urlarlo, di salvarla e portarla via. L’avrei fatto, perché l’impulso che stavo trattenendo era esattamente quello da quando i suoi occhi si erano posati su di me, ma non potevo. Altrimenti sarei morta come lei. E io non volevo questo. La morte mi spaventava, e sapevo che rimanendo la figlia silenziosa e acconsenziente del rappresentate della lega anti-mutanti, mi avrebbe salvato la vita. Perché chi mai avrebbe sospettato della figlia di un così deciso personaggio? Chi avrebbe mai sospettato della docile e silenziosa Effie Hammer?
Gli occhi di Mode iniziarono a riempirsi di nuovo di lacrime e disse a voce alta: <<Ti prego Effie. Ti prego>>.
Mai nella mia vita avevo sentito tanta disperazione, tanta tristezza e dolore, ma allo stesso tempo speranza.
E in quel momento, in un semplice istante, avevo sentito il mio corpo invaso di vergogna per la mia stupida paura. Non dovevo aver bisogno del suo suggerimento per aiutarla, ma era una cosa che dovevo fare a prescindere, perché se oggi toccava a lei, domani sarebbe potuto accadere a me. Perché in fondo al mio cuore, sapevo che prima o poi mi avrebbero scoperta, che prima o poi avrei agito in modo sospetto anche se protetta dal nome di mio padre.
Sentivo gli occhi di tutti addosso a me, soprattutto quelli di mio padre.
Ivory Grey aveva dato il via alla tortura, e le urla dei genitori di Mode mi riempivano la testa, e senza che me ne potessi accorgere mi ritrovai in lacrime mentre mi sorreggeva Alyssa che come me era disperata di fronte a quella crudeltà. Negli occhi di mio padre invece continuava a regnare il sospetto e la vergogna.
Furono i minuti più lunghi della mia vita mentre il mio corpo decideva cosa fare.
Riuscii a prendere una decisione solo nel momento in cui Mode Klimm urlò nuovamente il mio nome mentre i corpi dei suoi genitori giacevano abbrustoliti accanto a lei.
Mi ritrovai a correre velocemente e senza che nessuno riuscisse ad afferrarmi verso la piattaforma e a far schioccare le dita facendo apparire una fiammella che andò a liberare Mode. Ivory Grey ci venne contro insieme ai boia per fermarmi, ma le fiamme ricomparvero facendoli retrarre. <<Mode, cosa sai fare? Mode!>>, urlai chiamandola mentre innalzavo sempre di più le fiamme e sentivo dei fucili caricare.
I suoi occhi chiari erano concentrati a guardare le fiamme, <<Io sono, ehm, volare>>.
<<Dobbiamo andarcene, hai capito?>>.
Lei annuì confusa e mi prese per un braccio, e quasi nello stesso istante ci ritrovammo sospese in aria. <<Veloce, Mode! Muoviti!>>, urlai quando vidi i fucili puntarci. Eppure la cosa che riuscì a spaventarmi maggiormente furono gli occhi di mio padre: se mi avesse trovata mi avrebbe ucciso.

Non so bene cosa fosse successo, perché dall’agitazione la mia memoria non era riuscita a incamerare ogni particolare, ma sapevo che Mode aveva riacquistato lucidità ed eravamo andate a casa mia. Mia madre arrivò alla porta raggiante, aspettandosi di trovare i Grayne, ma quando vide la figlia della sua grande amica, i suoi occhi di un grigio intenso tornarono seri e ci fece entrare velocemente.
<<Con tutto il rispetto Mode, ma non dovevi farlo Effie. Ti ucciderà!>>, disse seria. Non l’avevo mai vista così. Di solito era silenziosa e quasi invisibile, senza carattere. Mentre in quel momento aveva dato sfogo a tutto quel carattere e a quella decisione che non le era mai appartenuta da quando ero al mondo. <<Devo raccontarti una cosa, ma prima vai su e riempi i due borsoni di vestiti pesanti. Tu Mode aiutami in cucina>>, ordinò e ognuna di noi partì per il suo compito.
Corsi in camera mia e presi i borsoni nell’armadio riempiendoli di tutti i vestiti possibili anche con qualche coperta: fuori c’era veramente freddo.
Quando scesi, dopo un paio di minuti, trovai Mode con un mio giaccone indosso e uno zaino in spalla.
<<Allora>>, disse mia madre guardandosi attorno, <<Saranno qui fra poco quindi devo sbrigarmi. Ascoltami bene, Effie, ascoltami. Il mio vero nome non è Jade Hammer, neanche Jade Pollin, no, io mi chiamo Victoria Soars, okay? Ho dovuto sposare Scott per proteggerti. Te non sei sua figlia, non avrei mai fatto un figlio con un Hammer, mai. Tuo padre, beh, lui è morto e poco prima mi ha fatto promettere che un giorno avresti saputo chi tu sia. Ma adesso non ho tempo, saranno qui fra poco e non posso lasciare che ti catturino. Questo riguarda anche te Mode, i tuoi genitori non si chiamavano veramente Klimm, ma Red>>.
<<Ma cosa stai dicendo?>>.
<<Tu sei la figlia di Victoria Soars e Devon Klein, Effie. Scott l’ha scoperto, l’ha capito, e aveva qualche dubbio negli ultimi tempi e adesso gliene hai dato prova>>.
<<Stanno arrivando>>, disse Mode.
Gli occhi grigi di mia madre si spalancarono, <<Ci vediamo a nord, andate a nord, a RedLake, non è lontano ma andate. Cercate Beverly Whellighton. Potrete fidarvi>>.
<<Mamma…>>.
Mi abbracciò, <<Ci vedremo là. Battili tutti, Eff>>.
<<Andate!>>, disse spingendoci fuori mentre le urla si avvicinavano pericolosamente a casa nostra.