L’essere
umano era così ingenuo. Credeva di essere forte e invincibile con le sue armi,
i suoi missili, il suo controllo sulla Terra. Cercavano nello spazio forme
viventi che potessero sovrastare e distruggere. Ma non sapevano che proprio sul
loro amatissimo pianeta c’erano coloro che presto avrebbero chiamato alieni o,
meglio, mutanti.
C’eravamo
da sempre, da milioni di anni, nati esattamente quand’è nato l’uomo, siamo
vissuti parallelamente ad essi, nascondendoci, sapendo che le nostre capacità
li avrebbero terrorizzati, e ci avrebbero perseguitato.
Spesso,
stanchi di nascondersi, si sono mostrati al mondo, mostrando le loro capacità
per fare il bene, non di certo per il male, e sono stati perseguitati,
annientati, uccisi con truci torture. Ne è un esempio la famosa caccia alle
streghe, a quelle povere donne che volevano solo aiutare i sofferenti.
Col
tempo, noi mutanti, abbiamo capito che l’anonimato fosse il miglior modo per
sopravvivere, così abbiamo cominciato a nasconderci, a vivere come tutte le
persone, a evitarci fra di noi e a lasciare che l’uomo facesse il suo percorso
senza la nostra presenza. Ogni giorno, mentre l’uomo acquistava sempre più il
controllo sul pianeta e sugli altri, essere mutanti e nascondersi risultava
sempre più difficile.
Fino
a quando, un bel giorno, qualcuno di noi non si fece avanti e si rivelò. Tanti
altri, nelle più svariate zone della Terra, presero coraggio e si mostrarono.
Subito l’uomo accolse la notizia con curiosità, tutti ne parlavano, nacquero
anche dei stupidi gadget, e i bambini durante halloween si travestivano da
mutanti con i loro poteri. Ma poi, quando i potenti si sentirono in pericolo,
quando ebbero la sensazione di sentirsi inferiori a qualcuno, cominciarono a
disprezzarli, a chiamarli con epiteti completamente dispregiativi, a chiamarli
pericoli per l’incolumità umana.
Quelli
che riuscirono a catturare vennero o uccisi o rinchiusi all’interno di
laboratori dove erano sottoposti ad esperimenti continui. Gli altri tornarono a
nascondersi, cercando di essere normali.
Nacquero
delle Leghe Anti-Mutante, sempre più forti nei piccoli paesi, dove ogni notte
facevano la ronda e bruciavano i mutanti denunciati da vicini di casa o dagli
stessi familiari. I laboratori scientifici vennero chiamati Campi di Indirizzamento,
dicendo che avrebbero aiutato qualsiasi mutante a tornare umano.
Nessuno
di noi non poteva più fidarsi delle persone più care e più vicine che aveva, e
lo si vedeva dal terrore degli occhi dei mutanti che la paura riusciva a
sovrastare ogni pensiero.
Allo
stesso tempo anche i mutanti si organizzarono, quei pochi coraggiosi si
nascondevano in strutture apposite, lontane da occhi indiscreti e vivevano come
potevano, alcuni si fingevano barboni, altri si celavano dietro importanti
cariche politiche o sociali, in modo da far sparire qualsiasi dubbio.
Il
mondo era diventato una continua caccia ai mutanti.
Il
problema era che alcuni di essi erano pronti a rispondere a questa caccia con
la caccia agli uomini. Aiutando a incrementare l’odio degli umani verso di noi.
L’essere
speciale non risultava più essere così bello, ma piuttosto una condanna a
morte.
Avevamo
paura.
Io
avevo paura.
Avevo
scoperto di essere una mutante a sei anni, mentre giocavo in giardino con mia
madre, improvvisamente una goccia d’acqua si formò sulle mie mani. Poi,
l’inverno successivo, fissando una fiamma riuscii a riprodurla sempre dalle
mani. All’età di dodici anni riuscii a far crescere una pianticella di fronte
agli occhi increduli di mia madre. Con gli anni mi tenne protetta, essendo
anche lei una mutante, e spesso l’avevo sentita piangere e pregare chiedendo il
perché anche a me fosse successo. Col tempo però me ne aveva parlato come un
miracolo, e che ne dovevo essere felice, anche se stavamo attraversando un
periodo difficile, anche se essere diversa mi avrebbe portato alla morte.
Mio
padre, Scott Hammer, era famoso per le sue forti opposizioni contro i mutanti,
partecipava ogni notte alla ronda e tornava a casa a vantarsi di quanti ne
aveva uccisi o fatti incarcerare. Lui che tanto odiava i mutanti e si vantava
di riuscire a stanarli, non si accorgeva che sua moglie e sua figlia erano
esattamente quello che lui detestava di più.
<<I
Klimm>>, disse bevendo un bicchiere di vino e pulendosi la bocca con la
manica, <<Tutti erano dei mutanti, tutti i Klimm>>, rise toccandosi
i baffi neri come la notte, <<Odell li ha presi, e hanno implorato che
lasciassero stare i bambini>>.
Mia
madre era sbiancata. La signora Klimm era sempre stata una sua amica, e io
conoscevo Mode Klimm, una ragazza che veniva a scuola con me, era sempre stata
così gentile che immaginarmela morta fra qualche giorno mi faceva sentire in
colpa.
<<Dammene
ancora, Jade>>, disse a mia madre indicandogli la carne.
<<Domani>>, aggiunse rivolgendosi a me e indicandomi con la
forchetta, <<Domani andiamo a vedere il Rogo>>.
<<Non
mi va>>, dissi in un sussurro.
I
suoi occhi si infiammarono. <<Non dirmi che sei dalla loro
parte!>>.
<<Non
ho detto questo. Solo che non mi piace>>.
<<Cos’è
che non ti piace? Vorresti che ci fossimo noi lì?>>.
<<Non
mettermi in bocca parole che non ho detto, papà>>.
Divenne
rosso, <<Tu li devi odiare. Sei mia figlia. Sei un Hammer. Vero Jade?>>.
Mia
madre si sedette e lo guardò con gli occhi lucidi, <<L’altra volta che è
venuta è stata male, Scott>>.
Lui
neanche l’ascoltò. <<Domani a mezzogiorno>>, disse continuando ad
indicarmi, <<Verrà anche il figlio di Odell, ehm…>>.
<<Blade,
papà>>, dissi in un sussurro.
<<…Blade,
si, è diventato un bel ragazzo, grande e deciso sai. Tu vai d’accordo con la
moglie di Odell, vero Jade?>>.
Lei
represse una smorfia: la famiglia di Odell Grayne non era esattamente il
sinonimo di simpatia, soprattutto l’altezzosa moglie di Odell, Rita Grayne.
<<Certo>>, disse mia madre senza nascondere il suo dissenso.
<<Ha
due figli, ma Blade è il migliore. L’altro, quello piccoletto…>>.
<<Nathan,
papà>>, suggerii.
<<…Nathan,
si, ecco lui è così… insignificante. Odell mi ha detto che detesta i Roghi. Si
vergogna del figlio. D’altronde anch’io lo farei!>>. Si voltò verso di
me, <<Come fai a conoscerli?>>.
<<Nathan
è in classe con me nel corso di storia, mentre Blade, beh, è famoso a
scuola>>, risposi velocemente.
Lui
annuì, <<Quasi quasi li invito a mangiare qua, dopo il Rogo. Tu
concentrati di Blade, è proprio un bravo ragazzo, sai>>.
Continuò
così per tutta sera a parlarci dei Grayne e di quanto questo Blade fosse
meraviglioso.
Io
detestavo Blade come detestavo mio padre. E io odiavo mio padre e le sue
persecuzioni ai poveri e innocenti mutanti. E mamma detestava Rita Grayne
quanto detestava suo marito, che odiava chi era come lei. Eppure vivere nel
lusso che ci aveva portato il lavoro di mio padre, era più importante che far
rimanere integro il suo orgoglio da mutante. Non le avevo mai chiesto come
facesse a vivere in quello stato, ma credevo che fosse unicamente per me, per
non rischiare che io venissi perseguitata tanto quanto lei.
Il
giorno dopo mio padre mi svegliò gentilmente solo per ricordarmi che dovevo
prepararmi per il Rogo. Indossai un paio di jeans scuri e una maglia bianca,
avvolgendomi poi nel pesante giaccone. Mentre mia madre era impegnata con tutte
le sue energie nel preparare il pranzo, io e lui andavamo a piedi verso il
centro del piccolo paese dove abitavamo e dove la folla cominciava a formarsi.
La piazza era circolare ed esattamente nel mezzo stava la piattaforma di
metallo dove tre corpi penzolavano senza vita ancora dalla settimana prima.
Il
primo, quello più grande e vecchio era del signor Shonda, un dolce uomo dalla
lunga barba bianca che vendeva i tabacchi, poi c’era quello dell’anziana moglie
che tutte le mattine andava al cimitero per mettere i fiori sulla bara della
figlia e del suo sposo. E infine, quello più raccapricciante e triste e
perfetto simbolo della crudeltà che generava l’odio verso i mutanti, era il
piccolo corpo del nipote dei due signori Shonda, aveva solo sette anni ed era
stato ucciso perché poteva essere come
loro, così aveva detto mio padre.
I
Giustizieri – così si facevano chiamare i volontari del paese che annodavano le
braccia e le gambe dei compaesani ritenuti mutanti e con un sorriso li
torturavano – conosciuti più semplicemente con il nome di boia, stavano
togliendo i corpi dei tre Shonda abbrustoliti. Mio padre non aveva voluto fare
il boia perché diceva che per gustarsi la scena davvero il posto migliore era
in mezzo al pubblico.
Mio
padre mi richiamò all’ordine e mi fece segno di seguirlo in mezzo alla folla
che si apriva al suo passaggio. Lui e Odell Grayne erano considerati i
salvatori del paese. Tutti lo salutavano e si complimentavano con lui per
averne scovati così tanti e soprattutto famiglie intere.
Trovammo
i Grayne sotto la piattaforma, e Odell disse a mio padre: <<Oggi i boia
sono stati crudeli, hanno scelto la marchiatura>>. La marchiatura, scoprì
poco dopo vedendo la scena, consisteva nel scaldare fino a far diventare
incandescenti delle lestre di metallo e appoggiarle ai corpi dei mutanti che
erano legati a delle aste metalliche per i polsi e per i piedi.
Scott
Hammer sorrise, <<Ti presento mia figlia Effie, Odell>>. Lui in
risposta mi squadrò con i suoi occhi maniacali e mi baciò la mano come era
ritornato in uso fare.
<<È
un piacere conoscere tale bellezza. Effie, se mi dai il permesso, ti presento
mio figlio Blade, ma penso che tu già lo conosca>>, disse con la sua voce
possente e sicura di sé.
Blade
Grayne si presentò davanti a me con le sue spalle larghe e in tutta la sua
altezza. Non era molto diverso dal padre, avevano gli stessi occhi scuri, le
mani callose e rovinate e lo stesso sorriso morboso.
Gli
sorrisi appena, tesa per quello che stava per accadere.
<<Oh,
c’è la sindachessa>>, disse Odell guardando verso la gente che si apriva
al passaggio del sindaco Ivory Grey, accompagnata dalla figlia Alyssa. Era una
donna alta, con le spalle larghe e sempre vestita di nero, e ovviamente era
completamente d’accordo con le idee anti-mutante che sostenevano mio padre e
Odell. Alyssa, invece, per quanto le assomigliasse nei capelli castani e gli
occhi della stessa tonalità, era decisamente più docile e meno spaventosa.
<<Ehi,
Eff!>>, disse Alyssa con un sorriso che l’abbandonava raramente,
stringendomi il braccio. <<Mi ha tirata giù dal letto>>, aggiunse
indicando con uno sguardo la madre che tanto non sopportava. Lei e la sindachessa
erano molto simili a me e a mio padre, solo che Alyssa aveva molto più coraggio
nel far valere le proprie opinioni su quanto i mutanti fossero innocui.
I
suoi occhi caddero su Blade Grayne che le sorrise ammiccante. <<Adesso fa
tanto il carino, ma l’anno scorso quando mia madre non era sindachessa mi
chiamava rospo. Non lo sopporto>>, sussurrò in modo che potessi sentire
solo io.
Improvvisamente
il silenzio cadde totalmente sul pubblico.
I
Klimm salirono scortati dalla polizia sulla piattaforma, e alla visione del
signor Klimm con la testa bassa, e della moglie e della figlia in lacrime che
urlavano pietà, il mio cuore si distrusse in tanti piccoli pezzi. Come potevano
fare simili barberie ai loro compaesani. Soprattutto a Mode, quella piccoletta
tutta capelli, lei che non aveva mai fatto nulla di male. Ci potrei essere
stata io sulla piattaforma a piangere e a chiedere pietà quando non l’avrei mai
ricevuta.
Le
persone li fischiarono e insultarono mentre venivano legati ai pali, eppure i
miei occhi erano legati a quelli di Mode che fissava quelli che erano stati i
suoi amici negli occhi, uno a uno, e per un istante i nostri sguardi si
incrociarono e muovendo solo le labbra mi disse di essere forte.
Io
dovevo essere forte quando lei stava per essere torturata?
Nel
frattempo la sindachessa era salita sulla piattaforma e come ogni volta li
aveva presentati, chiedendogli poi come da rituale, <<Avete qualcosa da
dire prima di essere giustiziati?>>.
Il
signor Klimm aveva abbassato la testa e sua moglie piangeva con tutte le sue forze.
Mode, invece come tutti notarono, continuava a guardare me, con un insistenza
tale che mi fece tremare. Se non avesse smesso presto a qualcuno sarebbe nato
il pensiero che fossi come lei.
Mio
padre mi prese un braccio e mi sussurrò: <<Perché ti sta guardando,
Effie?>>.
<<Eravamo
amiche>>, risposi sentendomi colpevole di mentire così spudoratamente.
Perché la verità era che Mode sapeva cos’ero, perché fra mutanti si capiva, era
chiaro, e mi stava implorando di urlarlo, di salvarla e portarla via. L’avrei
fatto, perché l’impulso che stavo trattenendo era esattamente quello da quando
i suoi occhi si erano posati su di me, ma non potevo. Altrimenti sarei morta
come lei. E io non volevo questo. La morte mi spaventava, e sapevo che
rimanendo la figlia silenziosa e acconsenziente del rappresentate della lega
anti-mutanti, mi avrebbe salvato la vita. Perché chi mai avrebbe sospettato
della figlia di un così deciso personaggio? Chi avrebbe mai sospettato della
docile e silenziosa Effie Hammer?
Gli
occhi di Mode iniziarono a riempirsi di nuovo di lacrime e disse a voce alta:
<<Ti prego Effie. Ti prego>>.
Mai
nella mia vita avevo sentito tanta disperazione, tanta tristezza e dolore, ma
allo stesso tempo speranza.
E
in quel momento, in un semplice istante, avevo sentito il mio corpo invaso di
vergogna per la mia stupida paura. Non dovevo aver bisogno del suo suggerimento
per aiutarla, ma era una cosa che dovevo fare a prescindere, perché se oggi
toccava a lei, domani sarebbe potuto accadere a me. Perché in fondo al mio
cuore, sapevo che prima o poi mi avrebbero scoperta, che prima o poi avrei
agito in modo sospetto anche se protetta dal nome di mio padre.
Sentivo
gli occhi di tutti addosso a me, soprattutto quelli di mio padre.
Ivory
Grey aveva dato il via alla tortura, e le urla dei genitori di Mode mi
riempivano la testa, e senza che me ne potessi accorgere mi ritrovai in lacrime
mentre mi sorreggeva Alyssa che come me era disperata di fronte a quella
crudeltà. Negli occhi di mio padre invece continuava a regnare il sospetto e la
vergogna.
Furono
i minuti più lunghi della mia vita mentre il mio corpo decideva cosa fare.
Riuscii
a prendere una decisione solo nel momento in cui Mode Klimm urlò nuovamente il
mio nome mentre i corpi dei suoi genitori giacevano abbrustoliti accanto a lei.
Mi
ritrovai a correre velocemente e senza che nessuno riuscisse ad afferrarmi
verso la piattaforma e a far schioccare le dita facendo apparire una fiammella
che andò a liberare Mode. Ivory Grey ci venne contro insieme ai boia per fermarmi,
ma le fiamme ricomparvero facendoli retrarre. <<Mode, cosa sai fare?
Mode!>>, urlai chiamandola mentre innalzavo sempre di più le fiamme e
sentivo dei fucili caricare.
I
suoi occhi chiari erano concentrati a guardare le fiamme, <<Io sono, ehm,
volare>>.
<<Dobbiamo
andarcene, hai capito?>>.
Lei
annuì confusa e mi prese per un braccio, e quasi nello stesso istante ci
ritrovammo sospese in aria. <<Veloce, Mode! Muoviti!>>, urlai
quando vidi i fucili puntarci. Eppure la cosa che riuscì a spaventarmi maggiormente
furono gli occhi di mio padre: se mi avesse trovata mi avrebbe ucciso.
Non
so bene cosa fosse successo, perché dall’agitazione la mia memoria non era
riuscita a incamerare ogni particolare, ma sapevo che Mode aveva riacquistato
lucidità ed eravamo andate a casa mia. Mia madre arrivò alla porta raggiante,
aspettandosi di trovare i Grayne, ma quando vide la figlia della sua grande
amica, i suoi occhi di un grigio intenso tornarono seri e ci fece entrare
velocemente.
<<Con
tutto il rispetto Mode, ma non dovevi farlo Effie. Ti ucciderà!>>, disse
seria. Non l’avevo mai vista così. Di solito era silenziosa e quasi invisibile,
senza carattere. Mentre in quel momento aveva dato sfogo a tutto quel carattere
e a quella decisione che non le era mai appartenuta da quando ero al mondo.
<<Devo raccontarti una cosa, ma prima vai su e riempi i due borsoni di
vestiti pesanti. Tu Mode aiutami in cucina>>, ordinò e ognuna di noi
partì per il suo compito.
Corsi
in camera mia e presi i borsoni nell’armadio riempiendoli di tutti i vestiti
possibili anche con qualche coperta: fuori c’era veramente freddo.
Quando
scesi, dopo un paio di minuti, trovai Mode con un mio giaccone indosso e uno
zaino in spalla.
<<Allora>>,
disse mia madre guardandosi attorno, <<Saranno qui fra poco quindi devo
sbrigarmi. Ascoltami bene, Effie, ascoltami. Il mio vero nome non è Jade Hammer,
neanche Jade Pollin, no, io mi chiamo Victoria Soars, okay? Ho dovuto sposare
Scott per proteggerti. Te non sei sua figlia, non avrei mai fatto un figlio con
un Hammer, mai. Tuo padre, beh, lui è morto e poco prima mi ha fatto promettere
che un giorno avresti saputo chi tu sia. Ma adesso non ho tempo, saranno qui
fra poco e non posso lasciare che ti catturino. Questo riguarda anche te Mode,
i tuoi genitori non si chiamavano veramente Klimm, ma Red>>.
<<Ma
cosa stai dicendo?>>.
<<Tu
sei la figlia di Victoria Soars e Devon Klein, Effie. Scott l’ha scoperto, l’ha
capito, e aveva qualche dubbio negli ultimi tempi e adesso gliene hai dato
prova>>.
<<Stanno
arrivando>>, disse Mode.
Gli
occhi grigi di mia madre si spalancarono, <<Ci vediamo a nord, andate a
nord, a RedLake, non è lontano ma andate. Cercate Beverly Whellighton. Potrete
fidarvi>>.
<<Mamma…>>.
Mi
abbracciò, <<Ci vedremo là. Battili tutti, Eff>>.
<<Andate!>>,
disse spingendoci fuori mentre le urla si avvicinavano pericolosamente a casa
nostra.